Giacomo Leopardi è un modello, un punto di riferimento per la lirica italiana, come anche Petrarca prima di lui ed Eugenio Montale dopo di lui.

Nacque nel 1798 a Recanati nelle Marche, da una famiglia aristocratica. La vita semplice di campagna basata sul lavoro dei campi lo farà sentire incompreso. Nonostante sia un giovane viziato e riverito essendo un giovane conte , si sente isolata in quella società. Gli anni della giovinezza li trascorre in solitudine immergendosi negli studi, infatti, impara il greco, l’ebraico, il latino ed alcune lingue moderne. Per molti anni il suo desiderio maggiore fu viaggiare, fin quando nel 1822, fece il suo primo viaggio a Roma, dove il giovane venne a contatto con una società ignorante e ipocrita che lo deluse profondamente.

Le tante delusioni della sua vita lo portano ad elaborare una teoria del pessimismo che cambierà con il crescere del poeta a causa degli avvenimenti non positivi della sua vita.

Il pensiero di Leopardi può quindi essere diviso in quattro fasi:

  1. fase del pessimismo individuale dove il poeta crede di essere destinato all’infelicità e la sua unica fonte di consolazione sia la contemplazione della natura;
  2. fase del pessimismo storico, dove il poeta crede che sia l’uomo la causa della propria infelicità poichè si è allontanato dall’essere primitivo e ha fatto sempre più uso della ragione anche in maniera eccessiva. Crede che solo durante la fanciullezza l’uomo possa trovare la spontaneità degli antichi; proprio di questo periodo sono le opere Il sabato del villaggio e La sera del dì di festa che sono degli esempi di nostalgia dell’infanzia;
  3. fase del pessimismo cosmico, il poeta in questo periodo ritiene che le cause dell’infelicità dell’uomo sono da ricercarsi nella natura stessa, che si presenta indifferente nei confronti della sofferenza dell’uomo;
  4. fase del pessimismo eroico, in cui il poeta crede che la ragione possa essere un modo per salvare l’uomo dall’inganno della natura.

  

Leopardi trascorre gli ultimi anni della sua vita a Napoli, dove morì nel 1837. Qui compose la sua ultima opera La ginestra dove il poeta afferma che l’unica soluzione al dolore siano la solidarietà e la fratellanza.

Fu un classicista, nel senso che preferì la poesia antica, ma nello stesso tempo fu uno dei più grandi poeti romantici.

La poesia di questo grande autore è libera dai vincoli delle rime, quindi non usa schemi.

Le opere della giovinezza sono le canzoni e piccoli idilli (L’infinito, Alla luna, La sera del dì di festa). Dopo il viaggio a Roma abbandonò la poesia e cominciò a comporre in prosa, quindi scrisse le Operette morali. Ritornato a Recanati ricominciò a comporre poesie e compose i così detti grandi idilli (A Silvia, Il sabato del villaggio, La quiete dopo la tempesta, Il passero solitario, Canto di un pastore errante dall’Asia).

Durante tutta la vita tenne un diario , lo Zibaldone, dove è racchiuso il pensiero del poeta e che ha dato la possibilità di comprendere una figura tanto complessa come quella di Leopardi.

 

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