Al posto dell’attuale città di Roma 2 800 anni fa c’era un terreno paludoso ai piedi dei sette colli sulle sponde del Tevere. In cima ai colli sorgevano alcuni villaggi abitati da pastori e contadini che vivevano ancora in condizioni arretrate e non conoscevano alcuna forma di scrittura.

Intorno c’erano altri popoli: i Volsci, gli Equi, i Latini e i Sabini; più a nord gli Etruschi e a sud i Greci. Queste due popolazioni avevano raggiunto un elevato grado di civiltà e commerciavano tra loro. Il tragitto di carovane passava vicino ai colli. Proprio in quel punto, infatti, dal fiume emergeva un’isola che agevolava l’attraversamento delle acque. Costeggiava il Tevere anche la Via del Sale, percorsa da carri che trasportavano la preziosa merce dalle saline. Il sale nell’antichità era molto importante perchè serviva a conservare i cibi.

Presto gli abitanti dei villaggi costruirono magazzini in cui depositare e barattare merci. Gli scambi portarono ricchezza e il contatto con i mercanti greci ed etruschi fu occasione di nuove conoscenze.

I villaggi a poco a poco si ingrandirono, fino a unirsi e a dare origine alla città di Roma.

Accanto a questa ricostruzione storica che è stata possibile grazie allo studio dei reperti archeologici c’e anche una legenda che narra le origini di Roma.

  

La legenda di Romolo e Remo

Quando Roma era ormai diventata grande e potente, per cantarne la gloria nacque la legenda sulla sua origine, narrata dal grande poeta Virgilio nell’Eneide e dallo storico latino Tito Livio.

L’eroe troiano Enea, sfuggito con il padre e il figlio alla distruzione di Troia, approdò, dopo una lunga navigazione, sulle coste del Lazio, alla foce del Tevere. Qui viveva il popolo dei Latini, guidati dal saggio re Latino, che accolse Enea e gli diede in sposa sua figlia Lavinia.

Il figlio di Enea, Ascanio, divenuto adulto fondò una nuova città, Albalonga.

Dopo circa tre secoli un traditore, Amulio, cacciò il legittimo re, Numitore, ne uccise i figli maschi e costrinse la figlia Rea Silvia a farsi sacerdotessa, affinchè non vi fossero eredi legittimi di Albalonga. Ma della giovane s’innamorò il dio Marte a dalla loro unione nacquero due gemelli: Romolo e Remo.

Appresa la notizia della nascita dei bambini, Amulio ordinò che venissero subito uccisi, ms un servo mise i gemelli in una cesta e la affidò alle acque del fiume Tevere, che la spinsero sulla riva vicina al colle Palatino. Qui i gemelli furono trovati da una lupa, che li allattò fino a quando il pastore Faustolo li salvò. Diventati adulti e conosciuta la loro storia Romolo e Remo tornarono ad Albalonga, cacciarono Amulio e restituirono  il trono al nonno Numitore; poi si recarono sulla riva del Tevere nel luogo dove erano stati salvati dalla lupa e decisero di fondare una città.

Per stabilire chi dei due avrebbe dato il nome alla città e capire la volontà degli dei, Romolo e Remo osservarono il volo degli uccelli: chi ne vedeva di più avrebbe regnato sulla città.

Il destino scelse Romolo: egli prese un aratro e tracciò il solco sacro per indicare dove sarebbero sorte le mura della nuova città.

Remo, pieno di gelosia, oltrepassò il solco insultando il fratello; Romolo allora lo uccise e divenne il primo re della città, che in suo onore fu chiamata Roma. Era il 21 aprile del 753 a.C.

C’è anche una legenda per quanto riguarda il popolamento della città.

Il ratto delle Sabine

Romolo raccolse i pastori delle zone circostanti, ma mancavano le donne. Allora pensò a uno stratagemma. Organizzò una festa alla quale invitò i Sabini, popolazione vicina, con mogli e figlie. Mentre la festa i si svolgeva, a un segnale convenuto i giovani romani rapirono le donne sabine, costringendo gli uomini a fuggire. Questi, però, ritornarono poco tempo dopo, guidati da Tito Tazio, con l’intento di liberare le loro donne e di vendicarsi dell’offesa ricevuta.

Una fanciulla, Tarpea, aprì loro le porte della città. I Sabini si lanciarono contro i Romani, ma appena iniziò la battaglia le fanciulle subito intervennero per riportare la pace; molte di loro infatti si erano già affezionati ai nuovi sposi romani e non potevano tollerare che venisse sparso il sangue dei loro congiunti.

La vicenda ebbe così una conclusione pacifica: Romolo e Tito Tazio regnarono insieme sulla città e Sabini e Romani si fusero in un solo popolo.

 

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